18 agosto 2017

Il giallo burro di malga che nei Lagorai ma anche tra i "stùdiai" si chiamava butìro

Niccolò Tommaseo, nel suo celebre "Dizionario della Lingua Italiana", lo registrava come butìro. L'attuale termine "burro" è la contrazione del vecchio "butìro".
burro di malga
Lo stampo in uso a Malga Montalon, quand'era gestita dal malgaro Tonner, riproduceva il profilo della stella alpina.

burro butìro
Il "Dizionario della Lingua Italiana" (noto come il “Tommaseo-Bellini”, dai nomi dei
due autori principali) è il più importante dizionario italiano dell’ottocento, uscito nel
1861-1879 e destinato a rimanere insuperato per molti decenni e a restare il metro
di paragone con cui tutti i successivi dizionari si sarebbero dovuti misurare.
Ma se il nome del burro era ovunque lo stesso, quelli dei vari attrezzi impiegati cambiava zona per zona.
Nelle malghe dei Lagorai, del Vanoi e del Primiero la lavorazione del latte iniziava con una scrematura grossolana fatta con la scòa, uno scopino di saggina o grano saraceno.
Il butìro si produceva sbattendo a lungo la panna scremata dal latte appena munto.
butìro
Prelievo della panna dal latte appena munto.
👉L'attrezzo usato, la zàngola, da queste parti veniva chiamata pigna. Veniva azionata a mano dal famegio, un servo agricolo, che la tirava per un bel po'.
Se c'era cattivo tempo anche per tre o quattro ore; in condizioni di burrasca il burro tardava infatti a formarsi e per favorire il processo il famègio riscaldava la zangola con l'acqua calda.
Fare il burro era un'operazione lunga e faticosa, che richiedeva la collaborazione alterna di più malghesi.
lavorazione del butìro
Dopo la lavorazione, il burro usciva dalla zàngola per il trattamento finale che si
concludeva dentro lo stampo in legno.
A metà tira, con la lavorazione della panna ancora incompleta, era possibile estrarre dalla zangola una scodella di medobatu (panna montata) che era considerato una vera prelibatezza.
👉Poi, una volta che il burro s'era formato, veniva lavorato dal casèro che lo comprimeva con le mani e lo sbatteva contro i tageri per farlo vegnèr nèto (far uscire tutto il latticello).
Il pane di burro era poi suddiviso in pezzi più piccoli che venivano modellati negli stampi del butìro dove prendevano la forma, le dimensioni e il peso voluti.
I panetti così ottenuti venivano lasciati per qualche ora in un recipiente di legno colmo d'acqua fresca affinché si indurissero.
Oggi solo il burro prodotto d'estate in certe malghe del Primiero ha quel vecchio, inconfondibile colore giallo che sembra diventato il marchio di fabbrica dei prodotti artigianali.

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