Succedeva ogni anno anche nei nostri paesini. Ricordo ancora le grida strazianti, quasi umane, del maiale che veniva trascinato in cortile e presentiva la morte.
Al rito della uccisione e macellazione del maiale partecipava tutta la famiglia, dopo averlo allevato e curato per un anno. Terminato il lungo lavoro di preparazione del- le carni e degli insaccati, ci si concedeva un lauto banchetto liberatorio. Oggi la ma- cellazione domestica è vietata ma è ancora praticata nei paesini dell'Est europeo. |
Tutti i presenti stavano zitti, e nel loro silenzio risuonava la memoria dell'antico sacrificio rituale, conferendo così atmosfere quasi religiose al rito sanguinolento che si andava consumando.
👉Nessuno si divertiva, tutti sapevano cosa stava per accadere e perchè. Era una responsabilità collettiva, non amata, ma condivisa. Nessuno si sottraeva e nessuno si riteneva innocente, nemmeno i più piccoli.
Ci si affidava alla logica del "fuori il dente fuori il dolore", pronti poi a rendere grazia per la certezza - conferita dalle nuove scorte di carne conservabile - di poter arrivare fino alla successiva primavera.
Usanze analoghe sopravvivono nelle regioni agricole più interne dei Balcani ma anche tra i masi dell'arco alpino. Le parti nobili dell'animale (coscia, spalla) venivano salate ed affumicate ricavandone speck, pancetta, carne fumada. La rimanente materia prima veniva macinata ed insaccata con spezie, in piccoli salumi chiamati sia freschi che da taglio il cui nome varia da da regione a regione: luganega in Trentino, Wurst in Tirolo, klobasa in Slovenia, eccetera. Con le parti meno nobili (cotenna, carni di seconda scelta, interiora) si confezionavano insaccati meno pregiati: cotechino, ciuighe, mortandela nonesa, mortandela di Caldonazzo, eccetera. |
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