La preparazione della conocchia (in questo caso la fibra è il lino). |
La matriarca: era lei che possedeva il know-how della conocchia e dell'arcolaio.
Filare era un lavoro affidato a tutte le generazioni femminili a partire dalla matriarca, depositaria dei segreti di un arte negletta ma preziosa.
Le masse di fibra di lino o di lana prodotte rispettivamente con la gramolatura e con la cardatura, erano la materia prima da filare
Per far saliva si mettevano in bocca i pomm dele caore (il detto è cadorino ma è in uso anche in Trentino, mele selvatiche fatte essiccare al sole in fettine e infilzate con lo spago, le cosiddette žinžole).
L'arcolaio, ruota azionata a pedale che trasformava la massa filamentosa in filato. |
Il filato, che assomigliava ad una nuvola di zucchero filato, veniva infilzato sull’aspo (conocchia) e con l'aiuto dell'arcolaio e di tanta abilità manuale tramandata di generazione in generazione si otteneva il filato.
Questo veniva raccolto in matassa che successivamente veniva messa in un pentolone con acqua e cenere a bollire sul fuoco, per pulirla e sbiancarla.
Un'operazione che si ripeteva più e più volte. Con il corlo si trasforma-vano poi le matasse in gomitoli.
I gomitoli venivano portati al telaio del tessitore dove venivano trasformati in tessuto. Il pagamento era proporzionato alla lunghezza della tela realizzata. La tela veniva poi ulteriormente sbiancata bagnandola continuamente dopo averla stesa sull'erba e fatta asciugare dai raggi del sole.
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