4 luglio 2021

Le conifere di montagna raccontate da Mario Rigoni Stern: il pino silvestre

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Pino silvestre, che sta a mezzogiorno
Due esemplari di pino silvestre.
Il pino silvestre che sta a mezzogiorno e che ben si armonizza tra le due betulle, lo raccolsi e lo trapiantai da una antica morena un giorno che ero andato a camminare con mio figlio, sul finire di un lungo inverno. Ma come ora è cresciuto! Ed è a guardarlo che mi rendo conto di come passano le stagioni.
La pigna di pino silvestre é molto piccola.
Albero di primaria grandezza il pino silvestre può arrivare a quaranta metri e oltre; anche lui, come tutte le conifere è molto longevo e può passare i cinque secoli di vita. I1 suo fusto è diritto, ma la neve, i fulmini, le pietre che cadono dall'alto della montagna, il vento lo possono rendere tormentato. La sua chioma è rada e irregolare, i rami hanno gli apici rivolti verso l'alto; dove cresce stretto ad altri consimili ha forma piramidale allungata, si distende quando è isolato o rado. La sua corteccia è squamosa, rossastra da giovane, tendente al grigio e solcata da maturo, ma sempre portata al rosso verso la cima. Le foglie sono aghiformi, di colore verde-glanco, raggruppate a due a due, lunghe da tre a sette centimetri, contorte a spirale (sono più corte nei Paesi freddi, più lunghe nel Meridione).
Come le altre conifere è albero monoico e i fiori di questo pino sono molto ricchi di polline, tanto che le api ne fanno abbondante raccolto che concorre alla produzione della cera. Quando tra maggio e giugno sono in fioritura, camminando sotto di loro ci si può ritrovare con gli abiti tutti spruzzati di una polvere gialla che si stacca dagli stami a ogni leggero soffiare di vento; un tempo questo fenomeno veniva chiamato pioggia miracolosa di zolfo.
È un albero che ama il sole e i climi continentali; sopporta molto bene freddo e siccità ed è anche specie pioniera nei terreni degradati. Se uno percorre la Val Venosta può osservare come il lato di sinistra, quello arido rivolto a mezzogiorno, sia qua e là popolato da macchie di pino silvestre, mentre quello a destra, rivolto a mezzanotte e umido, sia invece coperto da pecci, abeti e latifoglie.
Il buon legno del pino silvestre, con l'alburno biancorosato e giallino e il durame più tendente al bruno, varia di qualità secondo la provenienza: il migliore è quello che cresce lentamente nei luoghi freddi o elevati; è di lunga durata, resistente, ottimo per costruzioni navali ma anche per mobili e oggetti casalinghi. Dai tronchi che non vengono usati in segheria si ricava cellulosa da carta. Dalla ramaglia un tempo si otteneva un carbone dolce particolarmente ricercato e usato per la fusione di acciai speciali.
Dagli alberi adulti, quando raggiungono l'età di cento-centoventi anni, incisi al piede fuoriesce una resina grassa che, distillata, dà un'ottima acquaragia; dal residuo di questa distillazione si ottiene la pece greca o colofonia e quella ricavata dal pino silvestre è la migliore tra tutte per impeciare i crini degli archi degli strumenti musicali.
Secondo rilievi fatti nel secolo scorso da Adolfo di Bérenger nei boschi della Stiria, ogni pino adulto produce tra i tre e i quattro chilogrammi di resina all'anno; sicché un ettaro di pineta può dare circa millesettecento chilogrammi dai quali si ricavano per distillazione trecentocinquanta chilogrammi di olio di trementina e circa mille di colofonia.
Dopo essere stata cosi utilizzata, la parte del tronco scortecciata e che restava impregnata di resina, era un prezioso legno da teda perché tagliata in asticelle forniva fascelline da usarsi al posto delle candele o delle lucerne e, un tempo, ne veniva fatto grande commercio. Ricordo come cinquant'anni fa in Albania, nei mercati di Tirana e di Korica, i montanari scesi dai villaggi vendevano per poche lire i mazzetti di queste stecche di pino silvestre che gocciolavano ragia; e come nei boschi vedevamo ogni tanto un pino scavato nel tronco, da dove anche noi abbiamo poi imparato a staccare le tede per illuminare i ricoveri.
Bruciando il legno di quest'albero, disposto in cataste simili a quelle delle carbonaie ma con più cura, si raccoglieva il catrame che colava in una fossa o in un recipiente sottoposti; questo distillato serviva per le vele delle navi e per i cavi. Raffinato o ricotto dava altri preziosi prodotti come la «pece rossa» che si usava spalmare nell'interno dei vasi vinari, o quella «pece bruna» che in Germania adoperavano mista a creta per impeciare le botti da birra. La «pece navale» era indispensabile per calafatare le navi ; la «pegola » serviva a calzolai e sellai per impegolare lo spago da cucito. Marziale scrive che la «pece rabulana» veniva aggiunta al vino per renderlo più abboccato.
Il pino silvestre è pure pianta medicinale: le gemme, gli aghi e i ramuli contengono principi balsamici attivi e disinfettanti; e se volete fare un bagno veramente salutare rnettete nell'acqua molto calda della vasca un bel mazzo di ramuli freschi ricchi di aghi, allungate l'acqua alla temperatura desiderata e poi immergetevi respirando i vapori. A1 di là delle Alpi si raccolgono gli aghi del sottobosco e dopo averli messi a macerare si ottiene la lana di 60sco (Waldwolle) che per le sue proprietà igieniche e salutari (cura i reumatismi) può sostituire la lana di pecora nei materassi e nei guanciali.
Tante cose ha sempre dato all'uomo quest'albero! Plinio ci racconta che dal pino silvestre si ricavavano i cannelli per scrivere (fasces calamorum): temperati a forma di penna d'oca venivano induriti per mesi dentro un letamaio. Vitruvio descrive come dentro appositi forni o dentro capanne chiuse da ogni lato si ottenesse il nero di fuliggine bruciando legno di pino, e questo nero veniva usato dai pittori, e più ancora come ingrediente principale nella composizione dell'inchiostro.
Presso i Greci il pino silvestre era il simbolo della verginità e per questo dedicato a Diana; ma anche a Pan in memoria di una fanciulla da lui amata e insidiata che Borea spinse sulle montagne e fece precipitare da una roccia. La Terra pietosa la trasformò in pino e quando Pan sentiva il soffio di Borea non cessava mai di piangere. Le gocce di ragia che il pino geme sono le lacrime della fanciulla amata.
“Arboreto Salvatico”
Einaudi, Torino, 1996

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