10 novembre 2024

I Bergbauern del maso chiuso (i coloni delle terre alte ) sono stati portati nelle valli tirolesi da Mainardo II° Conte di Tirolo

L'attivismo dell'ambizioso Mainardo non si limitò alle usurpazioni espansionistiche: diede impulso alle miniere d'argento e colonizzò le terre di mezza costa attirando sui monti tirolesi i contadini bavaresi e lasciò così un segno indelebile.
Oggi il venostano maso Pirchhof figura tra le mete turistiche sul Monte Sole di Naturno, nella media Val Venosta. La foto illustra bene la colonizzazione di mezza costa voluta da Mainardo II° (1238-1295) e proseguita nei secoli successivi. I masi segnavano e segnano il confine fra il fondovalle e la fascia boschiva che lo separa dalle praterie alpine delle monticazioni estive.
Castel Tirolo, il maniero meranese che ha dato il nome all'intera Contea, nell'affre-
sco di Franz Lenhart che decora il gazebo liberty della Waldenlhalle a Merano.
La doppia innovazione del maso chiuso condotto dal Bergbauer (contadino di montagna) e della "licenza di estrarre" concessa al Bergknappe produssero due figure sociali nuove: contadini liberi, gente di montagna che con la loro famiglia si sentivano prìncipi in caso propria, nel proprio insediamento di mezza costa fra il fondovalle e i pascoli alti delle malghe. 
Lo stemma della Contea del Tirolo.
"I nuovi contadini hanno un tratto fondamentale: sono uomini liberi, non servi della gleba, godono del diritto ereditario sul maso (di fatto ne hanno la proprietà), dei diritti di legnatico, caccia e di pesca ed hanno il diritto di portare le armi! Nasce così un ceto sociale forte, fiero, indipendente, non ricco, ma che non conosce miseria" 
(Fabio Caumo, "Identità perduta", Reverdito, Trento, 2022, pag 13). 
👉Si trattava di ex-servi della gleba bavaresi, che allo scopo venivano riscattati dallo stato di servitù  e poi trasformati in coloni di montagna col contratto della colonìa perpetua a canone invariato (in pratica il "maso chiuso"), un contratto che era chiamato Erbleihe. Stessa formula anche per l'inedita figura sociale del Bergknappe, contadini minatori cui concesse di scavare nei terreni da loro coltivati per estrarre il minerale da conferire alle miniere.
👉Ma tra la fine del secolo XIII e gli inizi del secolo XIV la finestra temporale favorevole ai contadini di montagna si richiude: nelle terre feudali la sovrappopolazione di servi della gleba non c'era più, e quindi non era più vantaggioso "liberarli" dietro riscatto. Successivamente, mentre in Germania meridionale i nobili stracciarono i contratti già stipulati coi nuovi contadini, Mainardo fu l’unico nobile a mantenere i contratti stipulati con i contadini, e fu così che si assicurò la loro fedeltà.

25 ottobre 2024

I cròmeri del Tesino, sempre a piedi e con la cassetta in spalla

La vendita porta a porta di stampe, immagini sacre e piccoli oggetti per la casa è stata per tre secoli il "secondo lavoro" stagionale dei contadini più poveri.
La casséla (cassetta) per sementi dell'ambulante Bortolo Zampiero, classe 1882, già venditore di stame e di mercerìe. Anche nel Tesino i piccoli contadini approfittavano della stasi agricola invernale per trasformarsi in cròmeri, ambulanti che praticavano il porta a porta lontano da casa e si muovevano sempre a piedi con la merce portata a spalla e lo stesso accadeva nella Val dei Mocheni.
Due casséle degli ambulanti tesini, sopra chiusa e sotto aperta.
Lasciavano l'altipiano affidando la cura del bestiame e della casa alle donne e, sempre a piedi e con la "cassela" in spalla, si spingevano ai quattro angoli dell'Europa asburgica. Alcuni hanno fatto fortuna, riuscendo ad aprire negozi all'estero, altri si sono spinti fino in Asia e Australia, trasformandosi in girovaghi espatriati ma nostalgici di casa.
👉Il cròmero stava via nei mesi freddi, dopo aver riempito la cassela (l'armadietto portatile a più scomparti da portare in spalla come uno zaino) rifornendosi dai merciai, commercianti e stampatori bassanesi, che concedevano un credito facile quanto insidioso. Anticipavano la merce dietro promessa di pagare al ritorno dopo averla venduta, ma chiedevano a garanzia il pignoramento del campo. Col tempo furono in molti i piccoli contadini a finire preda di questi prestiti tossici, che spesso si concludevano con la perdita del piccolo appezzamento agricolo, nuovi debiti, povertà e emigrazione.
👉A partire da Settecento il fenomeno crebbe via via di peso e finì col penetrare gli equilibri economici locali, giungendo a modificare la composizione sociale degli abitanti.
Non mancò chi fece fortuna con l'estero. Vi fu anche chi aprì negozio a Parigi, Mosca e Pietroburgo. I tesini figurano tra i fornitori degli Zar di Russia. Da segnalare i casi delle famiglie di stampatori Remondini, Daziaro, Buffa, Pellizzaro, Ognibeni, ben documentati nelle pubblicazioni e installazioni del locale museo dei cròmeri a Pieve Tesino.
La casséla arrivava a pesare fino a 45 chili e conteneva anche sementi, aghi e fili da rammendo, forbici e coltelli, inchiostri e pennini, merletti e pizzi, uncini da ricamo, tele e stoffe, medaglie, brevari, rosari e e santini, rasoi, occhiali e lenti, pipe e pietre focaie, saponette e profumi.


12 ottobre 2024

Il falcetto romano e la falce medioevale

Indispensabili per la mietitura e la fienagione, i due lavori agricoli estivi più impegnativi, che riguardavano i campi coltivati a cereali e i prati da foraggio.
Falce a sinistra e falcetto a destra. Due immagini che illustrano la postura operativa richiesta dai due attrezzi. In certe zone la falce veniva usata anche per mietere i cereali.


Falcetto e attrezzi per la sua manutenzione direttamente nel campo.
👉Il falcetto (falciola o falce messoria) è molto più piccolo della falce fienaia e viene adoperato per mietere il grano o altri cereali, o per fare provvista giornaliera di erbe per conigli e altri animali da cortile. Il nome «falce messoria» distingue questo strumento a manico corto, usato soprattutto per la mietitura, dalla «falce fienaia» a manico lungo, usata per tagliare l'erba da foraggio ma anche, in alcune zone, per mietere i cereali.
La manutenzione della lama avveniva nel campo durante il lavoro, con la pietra da
cote per affilarla una piccola incudine per raddrizzare la lama ammaccata, due stru-
menti che portava sempre con sè.
👉La falce fienaia ha una lama arcuata lunga da 60 a 90 centimetri, che è fissata perpendicolarmente ad un manico lungo da 140 a 160 cm dotato di due impugnature, una a metà lunghezza e l'altra all'estremità opposta alla lama, e serve per tagliare l'erba sui prati da foraggio (fienagione), più raramente per la mietitura di cereali. L'utilizzo della falce richiede una specifica abilità nella manovra, acquisibile solo con un lungo apprendimento. Bisogna infatti bilanciare bene le braccia, muovendo orizzontalmente la lama all'altezza voluta con un ritmo oscillatorio.
La manutenzione nel ciclo dei mesi, di pinte sulle pareti interne della Torre d'Aquila,
che fa parte della cinta muraria duecentesca di Trento. Nel quadro che illustra i la-
vori agricoli di luglio viene descritta la fienagione. Sul lato sinistro dell'affresco è in-
serita la figura del contadino che affila la falce seduto su un pezzo di legno dove è
incastrata la piccola incudine da campo.
👉La falce messorie si diffuse in montagna nel medioevo, dove diventò l'unico strumento usato per la fienagione, il taglio dell'erba durante l'estate, la sua essiccazione e la successiva conservazione nel fienile, indispensabile per alimentare il bestiame durante l'inverno.  Tra il 1000 e il 1400 mentre "Il clima andava via via migliorando, le coltivazioni agricole erano possibili a quote più elevate, in Inghilterra si coltivava la vite. [...] si andava diffondendo un'invenzione rivoluzionaria per l'epoca, un'invenzione di assoluta importanza, rappresentata dalla falce, che andava soppiantando il falcetto romano. La capacità lavorativa nel taglio dell'erba per il foraggio si andava incrementando in forma esponenziale." (Fabio Caumo, "Identità perduta - L'autonomia trentina alla deriva", Reverdito Editore, Trento, 2022, pag 12)
Falci e falcetti vennero utilizzati come armi dai contadini durante nelle guerre rustiche combattute dai contadini in rivolta contro la nobiltà feudale nel Cinquecento. Le tecniche di lotta sviluppate in quel contesto sono state poi documentate in un raro trattato curato da Paulus Hector Mair, che ne illustra l'uso in centinaia di illustrazioni in cui i figuranti indossano complicati e coloratissimi costumi con i Pluderhosen che di sicuro i contadini non indossavano. La rivolta toccò anche il Trentino, dove si estese fino alla Valsugana.

22 settembre 2024

La polvere di fieno benedetta che allontanava la mala sorte

La polverina scaramantica che i frati distribuivano nei masi della Val Ridanna durante la questua, un'usanza tramandataci da Aldo Gorfer.
Il maso Paulheiss era situato sulla Sonnenseite di Mareta a 1.300 metri sul mare, ad un'ora a piedi dalla chiesa di Mareta, 300 metri più in basso, sulle pendici meridionali delle Telfer Weissen/Cime Bianche di Telves (2.589 m) ed "era abitato da quattro persone. Poteva contare su quattro ettari di bosco. Dalla fine dei luglio del 1971 era stato stato raggiunto da una strada carrozzabile."
Castel Mareta e la chiesa di Mareta in Val Ridanna. Il lato della valle esposto al so-
le viene chiamato Sonnenseite (lato al sole) ed è quello che si intravvede sulla de-
stra della chiesa.

I frati Cappuccini di Vipiteno, in autunno, giravano i masi per la questua, la raccolta delle donazioni in natura e in denaro.. "Alle donne donano il rosario, ai contadini il Lecke, la polvere di fieno benedetta. Il rosario viene recitato in suffragio dei poveri morti (Seelen-Rosenkranz) due volte al giorno, a mezzodì e alla sera".
Nelle cartine attuali il toponimo Paulheisshof è scomparso. La citazione più prossi-
ma pare essere Hochstranses (quota 1.500 - qui nella cartografia Mapy.cz) che però
viene citato come "a metà cammino venendo da Mareta".
👉Il frate deposita una manciata di Lecke sul piatto dove il Bauer ha presentato l'offerta di uova, burro, formaggio, speck. Ha la funzione di una specie di acqua benedetta solida. Poi verrà bruciato sul fuoco, nel caso di tempeste per scongiurare i fulmini, oppure sarà mescolato al fieno e al sale per preservare le bestie della stalla dalla epidemie e dalle disgrazie.
👉Nella testimonianza di Aldo Gorfer i contadini dicevano che sì, ci credevano, perchè "...per il bestiame ci vuole un pizzico di fortuna [...] E' come la fiducia nel medico. Cosa succederebbe al malato se manca la fiducia nel medico?". Insomma: crederci innanzitutto... Nel testo le parti in verde sono citazioni da: Aldo Gorfer, "Gli eredi della solitudine", Cierre Edizioni, Sommacampagna (VR), 2003, pag. 168.

26 agosto 2024

Gli strangolapreti trentini (che saziano molto a poco prezzo)

Piccoli e risparmiosi gnocchetti di pane raffermo e spinaci, ma senza le patate e con poca farina. Tecnicamente, quindi, non somigliano agli gnocchi di patate ma piuttosto ai canederli (ma nell'impasto ci sono anche uova, latte e formaggio).
Gli strangolapreti conditi con burro e salvia, mentre la fioritura di primavera tocca i primi alberi...
Gli ingredienti degli strangolapreti.
In altre regioni il nome strozzapreti si indicano, viceversa, preparazioni più simili agli gnocchi di patate, che perciò prevedono la farina, ma gli strangolapreti invece sono degli gnocchetti a base di pane, e senza patate...
👉Insomma: sono degli gnocchetti verdi senza patate. Col pane vecchio al posto delle patate. Un piatto povero della tradizione che prevede il riciclo del pane avanzato il giorno prima e l’impiego di verdure a foglia, dalle ortiche alle silene,
Gli strangolapreti in una modaiola ambientazione montana.
oppure del cavolo nero e delle rape.
👉Vengono conditi con burro fuso e salvia, e pare che siano originari dalla Conca della pieve di Bono nelle valli Giudicarie - ma questo è un terreno scivoloso, dove mito e promozione turistica finiscono con essere la stessa cosa...
👉Rimane il fatto che consistono in gnocchi verdi ottenuti impastando del pane raffermo, latte, spinaci (oppure erbette, ortiche, bietole o coste), uova, grana trentino, farina bianca, cipolla, sale, pepe, noce moscata, confezionati a forma di pallina, di cucchiaio, di gnocchetto e cotti in acqua  salata.
👉Resta da dire che gli strangolapreti non vanno confusi nemmeno con gli Spätzle, che hanno sì lo stesso colore ma un'altra composizione, perché son fatti di un impasto farina bianca, latte e uova: niente pane vecchio, quindi E comunque anche il loro aspetto è diverso. Gli Spätzle più o meno sono così.

19 luglio 2024

Curiosando negli anni sessanta: il materassaio

La manutenzione periodica faceva parte della "filosofia del prodotto" perchè con l'uso quotidiano anche il miglior materasso di lana ben cardata si "impaccava".
Un materassaio ambulante impegnato in città, nel cortile di una casa a ringhiera.
La cardatura della lana con il classico attrezzo artigianale azionato a mano che si
utilizzava un po' dappertutto, masi di montagna compresi.
Periodicamente bisognava smontarlo, arieggiare la lana, cardarla nuovamente e infine riconfezionare il tutto.
Prima dell'avvento dei materassi di produzione industriale (a molle e con imbottitura di materie plastiche) i materassi era di fattura artigianale, e venivano confezionati dal materassaio, un artigiano importante, onnipresente e che garantiva anche la necessaria manutenzione periodica a chi abitava nelle città e nei paesi. Nei paesi si era in genere più autosufficienti e forse anche meno esigenti, e quindi spesso ci si arrangiava da soli.
La lavorazione era sempre "a trapunta" con i bottoni di rinforzo per far sì che la te-
la resistesse allo sforzo e con i bordi impuntati a salsicciotto per mantenere la forma. 
👉Quasi sempre l'imbottitura era di lana di pecora ben cardata e per la fodera si utilizzava una robusta tela di cotone che veniva lavorata a trapunta manovrando dei grossi aghi imbastiti con un grosso e resistente filo, quasi una sottile corda.
👉I materassi si assomigliavano tutti, erano alti una decina di centimetri e dopo qualche anno venivano smontati, e la lana sottoposta ad una nuova cardatura. Infine il materassaio ricostruiva il materasso con la tela di cotone, l'ago ed il robusto filo. La manutenzione era periodica, faceva parte della "filosofia del prodotto".

4 luglio 2024

La polenta di patate (è un robusto pastone di patate e polenta)

Le patate, una volta lessate, vengono spostate nel paiolo e mischiate in cottura con la farina gialla, quella che si usa per la normale polenta.
Le patate spellate, lessate e schiacciate ancora calde con la forchetta costituiscono la base della "polenta di patate", la cui preparazione viene completata in un paiolo in rame di quelli per la polenta.
La polenta di patate. Da lontano si può scambiarla per quella solita, di solo mais.
A questa base in Val di Ledro si aggiungeva spesso una "concia": il mix di patate e polenta veniva cioé arricchito con formaggio e/o luganeghe sminuzzati a pezzetti (questa faccenda della "concia" la imparenta con altri piatti contadini del tempo andato, il più noto dei quali è la "polenta concia" fatta di farina gialla conciata con burro, formaggio e salvia).
Polenta di patate e formaggio fresco.

👉Scaldando a fuoco basso si lascia cadere il mix di farina gialla mentre si continua a rimescolare per amalgamare. Solo quando l'impasto di patate lesse e farina gialla é "fatto" si aggiunge una noce di burro e poi i pezzetti di formaggio e di luganega, sempre continuando a rimescolare. Rovesciare la polenta di patate sopra un tagliere e lasciarla rassodare, poi tagliarla a fette e metterla in tavola. Ottima per accompagnare piatti di carne, come arrosti, brasati, selvaggina, ecc.
👉L'elenco degli ingredienti varia anche molto da zona a zona: oltre al mix patate+farina gialla può prevedere anche formaggio, burro, pasta di luganega, pancetta. Ma sono sempre prodotti dell'economia contadina, insomma "mangiari" fatti con prodotti del posto e perciò sempre reperibili.

Gli ingredienti per la polenta di patate della Valle di Ledro:
5 kg patate (possibilmente non fresche),
300 g di formaggio.
200 g lucanica,
sale, olio e pepe a piacere.