3 marzo 2025

I diversi tipi di chiodi da scarpa ("broche", in dialetto trentino)

Prima della WW2 le calzature invernali e gli scarponi da campagna venivano "chiodati": la suola di cuoio veniva corazzata nei punti giusti da graffe di ferro.
Le "broche a sella" erano solo uno dei tanti tipi di chiodi da scarpa utilizzati dai calzolai del tempo, abili artigiani che lavoravano di conserva con le fucine dei "chiodaioli" fabbri artigiani che si erano specializzati nella produzione di chiodi per tutti gli usi.

Diversi tipi di broche prodotte dai chiodaioli trentini.
Solo dopo la fine della seconda guerra mondiale nelle terre alte arrivarono le suole Vibram, che erano state già sperimentate nel 1937 da Vitale Bramani per gli alpinisti, e che aprirono una nuova era: quella delle suole in gomma anzichè in cuoio chiodato.
Prima della rivoluzione introdotta dalle suole di gomma la chiodatura delle suole era la norma, in pace e in guerra, per i contadini di montagna e i soldati.
👉Soprattutto nei paesi delle valli si continuava a fare un gran uso delle broche, i chiodi da scarpa, e i numerosi calzolai che allora riparavano e mantenevano in ordine le calzature si rifornivano dai chiodaioli, fabbri specializzati nella produzione di una vasta tipologia di chiodi da scarpa.
Oggi le suole chiodate sono completamente scomparse; in ambito alpinistico sono state sostituite dai ramponi d'acciaio e gli escursionisti si accontentano dei "ramponcini", sovrascarpe di gomma rinforzata dai chiodi e catenine. Chi ama il grip deciso su neve ghiacciata ma non è disposto a rinunciare al rassicurante involucro fisso dello scarpone ricorre ad adattamenti personali, tipo questo (i chiodi più adatti si trovano anche nel web).
Un pregevole scarpone artigianale in cuoio con la suola chiodata con le broche conservato al Museo di San Michele all'Adige.

20 febbraio 2025

Il carnevale di Tramin/Termeno (nella Bassa Atesina)

Le maschere protagoniste sono l'Egetmann e gli Schnappviecher. Risale alla seconda metà del 1500 e si tiene solo negli anni dispari.
Oltre ai due sposi, i veri protagonisti della festa sono gli Schnappviecher, detti anche Schnappvieh o Wudele. Sono le apparizioni più spettacolari, sorta di draghi alti come due uomini e con la mascella mobile, che sbattono selvaggiamente per far risuonare i denti. 


Due, maschere da Schnappviecher con la caratteristica mascella
mobile. 
 Fra le altre figure c'è quella dell’uomo selvatico ("Wilder
Mann"), con il corpo ricoperto di foglie d’edera, tenuto a bada a
fatica dalla sua figura antagonista, il cacciatore.
I mascheroni vengono azionati dai volonterosi che si celano al loro interno, gli Schanppviecher sono ricoperti di pelli e la loro testa è sormontata da corna di animali. Vengono inseguiti dai macellai che ad ogni sosta ne catturano uno e lo uccidono, chiudendo così il ciclo dell’inverno e aprendo le porte alla primavera.
👉La rappresentazione carnascialesca ruota attorno ad un matrimonio, quello fra l’Egetmannhansl, o Egetmann, in giacca nera, cilindro e guanti bianchi, e la sua sposa, spesso personificata da un uomo (come nel teatro del passato, quando solo agli uomini era consentito recitare). I due arrivano su un calesse dietro al quale camminano i consiglieri, gli “uomini del potere”, con ciascuno un oggetto simbolico: il registro dei matrimoni, la scala, l’ombrello e due candelieri (un bastone con una pannocchia di granoturco come candela). Il corteo si snoda per le vie di Termeno e si ferma ad ogni fontana. Qui viene appoggiata la scala su cui sale il consigliere con un ombrello, sotto al quale il nunzio legge il protocollo con la profferta di matrimonio, condita di pesante ironia e sfottò.

11 febbraio 2025

La "frontiera nascosta" (e il libro che ne ha svelato la natura)

Il confine tra le terre trentine e le terre sudtirolesi non è mai stato solo linguistico. Il caso di Tret e St. Felix/San Felice, tra l'alta Val di Non e la Ultental/Val d'Ultimo.
Questo libro riporta i risultati di un indagine sul campo condotta in alta Val di Non, al confine con la Val d'Ultimo altoatesina. Nelle cartografie attuali mostrano un St.Felix/San Felice modificato dalle nuove costruzioni aggiunte negli ultimi 50 anni. Ancora negli anni Settanta la fisionomia dispersa di St. Felix (tedesco) era molto diversa da quella ccentrata del vicinissimo Tret (italiano).

Gli autori tracciano la storia del Tirolo analizzando l'economia rurale, i suoi abitanti
e la loro cultura a partire dall'Alto Medioevo. L'opera di Cole e Wolf raccoglie studi
sui meccanismi dell'eredità, sull'organizzazione delle risorse del paese, sulle rela-
zioni sociali ed economiche di queste due comunità alpine.
Si tratta innanzitutto di diversità che riguardano la cultura materiale, le forme dell'insediamento umano e il rapporto col territorio. E che si estendono alla lingua e allo stile di vita: tradizioni, consuetudini, usi e costumi, diritto ereditario, rapporti di parentela e mentalità. Pur rimanendo entrambi all'interno della stessa fede religiosa, quella cattolico-romana.
In arancione il confine amministrativo attuale fra le due province autonome di Bol-
zano e di Trento nella cartografia IGM 1:25000.
👉Il villaggio tedesco di St. Felix/San Felice ha una struttura di d'insediamento disperso, mentre l'italiano Tret è organizzato in nucleo abitato. A San Felice ci sono i masi chiusi, a Tret no.
👉Nel 2010, 35 anni dopo la pubblicazione del libro, le differenze fra il paese di "diritto germanico" (St. Felix) e quello di "diritto latino" (Tret) erano aumentate nella demografia, nell'architettura e soprattutto nell'economia: "D'altra parte la disparità fra le due comunità è aumentata: St. Felix è abbastanza benestante, i suoi contadini ora hanno sviluppato una vocazione agrituristica ed artigianale, anche grazie ai finanziamenti della Provincia di Bolzano e ai fondi europei, che invece, per ragioni che gli autori non pare siano stati capaci di determinare, non vengono richiesti dalla Provincia di Trento. Così Tret si sta svuotando e chi è rimasto lavora a Trento, in altri comuni limitrofi, oppure nella zona artigianale a St. Felix." (dal quotidiano "Trentino", 10 novembre 2010)


18 dicembre 2024

Il Filzerhof di Fierozzo in Val dei Mocheni, costruito nel 1324

La trentina Val dei Mocheni è un'isola linguistica germanofona di origine medievale, fatto che spiega la presenza dei "masi", che sono insediamenti di cultura tedesca.
Il maso Filzerhof venne fondato nel 1324, quando il Signore del Castello di Pergine affidò l’appezzamento denominato “ad Schaletas” ad un colono per renderlo coltivabile e costruirvi la propria abitazione. Come edificio, è classificabile come maso del tipo a corpo unito, cioè che ha l'abitazione, la stalla e il fienile riuniti sotto lo stesso tetto.
Il Filzerhof in autunno.
In questa valle, percorsa dal torrente Fersina che passa per Pergine e finisce a Trento, non si è mai affermato l’istituto del maso chiuso perché si trova in Trentino, che è di cultura latina. Ma la valle ha visto la presenza dei minatori germanici detti "Canopi", e ci sono dei masi tipici della colonizzazione baiuvara che avvenne nell’area tirolese a partire da metà '200, per volere di Mainardo II Conte del Tirolo-Gorizia.
Oggi fa parte di un museo. La struttura dell’edificio e la distribuzione degli spazi so-
no rimasti pressoché intatti fino ai giorni nostri, così da poter rappresentare un vali-
do esempio di abitazione contadina di montagna. Sullo sfondo il Monte Rujoch.
👉Oltre al classico maso di mezza montagna condotto dal Bergbauer in questa valle ricca di miniere per l'estrazione di metalli, certi masi vennero affidati al colono chiamato Bergknapper, il contadino di montagna che si occupava anche di estrarre minerale dal terreno agricolo assegnatogli.
👉Anche nel caso dei masi mocheni spettava al colono disboscare, coltivare il terreno, costruire al suo interno la propria casa dietro il pagamento di una sorta di affitto annuo che veniva pagato di San Michele, che cade proprio il 29 settembre.
E' stato trasformato in museo etnografico con sede nel comune di Fierozzo. Raccoglie oggetti e presenta gli ambienti della storia e della vita rurale della popolazione della Valle dei Mòcheni.

25 novembre 2024

La pera Pala della Val Venosta, un'antica varietà contadina

La pera Pala delle antiche coltivazioni domestiche ha rischiato l'estinzione, ma è giunta fino a noi. Gli alberi, alti e nodosi, superano agevolmente il secolo di vita.
Prima che la monocoltura della mela cambiasse l'agricoltura e il paesaggio del fondovalle, tra gli alberi da frutto coltivati dai contadini per uso locale c'era anche quello della pera Pala. Oggi i peri venostani sono stati affiancati e surclassati da quelli delle Marillen.

Un albero di pera Pala nel fondovalle fra Glorenza e Silandro. E' stata documenta-
ta per la prima volta nel 1755 nel primo censimento degli alberi da frutto venostani.
Qualche esemplare è sopravvissuto alla rivoluzione agricola e sociale del Novecento ed è giunto fine a noi, vegetando sul bordo di stradine secondarie oppure nelle corti demaniali che offrono sempre un buon rifugio a piante rare.
A Glorenza si tiene in autunno il "Pala Pira Sunnta" (la domenica della Pera Pala) e
in quella occasione viene panificato un segalino alla pera Pala.
👉Buccia liscia, verde-gialla, con la guancetta rossa, dalla forma un po' rigonfia e dalla consistenza un po' gommosa ma sempre molto aromatica pera Pala, è stata segnalata solo in Sudtirolo. E' adatta anche per il consumo fresco ma è soprattutto dopo cottura che da il meglio di se. Ottima conservabilità in fruttaio anche per 2/3 mesi. Come tutte le pere antiche, è rustica, molto resistente alla ticchiolatura. Essendo autofertile per fruttificare non necessità dell’associazione con altri tipi di pere.
👉Citata con il nome di pera Pilli Palli nel "Churburger Anger und Pfaffenegg" (censimento dei prativi di Castel Coira e Pfaffenegg) del 1755. In alta Val Venosta era usata per preparare il Weihnachtszelten con Palabirnschnitz (un panforte natalizio alla pera) oppure il "pane alla pera pala".
👉"Schnitz" è il nome locale usato per indicare le fette di pera che venivano lasciate ad essiccare in luoghi ombreggiati per qualche giorno e poi usate per il pane alla frutta, un panforte natalizio preparato con queste fette di pere, noci e prugne secche. Erano usate nello Zelten di Natale o pel panforte di pera oggi "riscoperto" dai globalizzati slow-guru del posto.

10 novembre 2024

I Bergbauern del maso chiuso (i coloni delle terre alte ) sono stati portati nelle valli tirolesi da Mainardo II° Conte di Tirolo

L'attivismo dell'ambizioso Mainardo non si limitò alle usurpazioni espansionistiche: diede impulso alle miniere d'argento e colonizzò le terre di mezza costa attirando sui monti tirolesi i contadini bavaresi e lasciò così un segno indelebile.
Oggi il venostano maso Pirchhof figura tra le mete turistiche sul Monte Sole di Naturno, nella media Val Venosta. La foto illustra bene la colonizzazione di mezza costa voluta da Mainardo II° (1238-1295) e proseguita nei secoli successivi. I masi segnavano e segnano il confine fra il fondovalle e la fascia boschiva che lo separa dalle praterie alpine delle monticazioni estive.
Castel Tirolo, il maniero meranese che ha dato il nome all'intera Contea, nell'affre-
sco di Franz Lenhart che decora il gazebo liberty della Waldenlhalle a Merano.
La doppia innovazione del maso chiuso condotto dal Bergbauer (contadino di montagna) e della "licenza di estrarre" concessa al Bergknappe produssero due figure sociali nuove: contadini liberi, gente di montagna che con la loro famiglia si sentivano prìncipi in caso propria, nel proprio insediamento di mezza costa fra il fondovalle e i pascoli alti delle malghe. 
Lo stemma della Contea del Tirolo.
"I nuovi contadini hanno un tratto fondamentale: sono uomini liberi, non servi della gleba, godono del diritto ereditario sul maso (di fatto ne hanno la proprietà), dei diritti di legnatico, caccia e di pesca ed hanno il diritto di portare le armi! Nasce così un ceto sociale forte, fiero, indipendente, non ricco, ma che non conosce miseria" 
(Fabio Caumo, "Identità perduta", Reverdito, Trento, 2022, pag 13). 
👉Si trattava di ex-servi della gleba bavaresi, che allo scopo venivano riscattati dallo stato di servitù  e poi trasformati in coloni di montagna col contratto della colonìa perpetua a canone invariato (in pratica il "maso chiuso"), un contratto che era chiamato Erbleihe. Stessa formula anche per l'inedita figura sociale del Bergknappe, contadini minatori cui concesse di scavare nei terreni da loro coltivati per estrarre il minerale da conferire alle miniere.
👉Ma tra la fine del secolo XIII e gli inizi del secolo XIV la finestra temporale favorevole ai contadini di montagna si richiude: nelle terre feudali la sovrappopolazione di servi della gleba non c'era più, e quindi non era più vantaggioso "liberarli" dietro riscatto. Successivamente, mentre in Germania meridionale i nobili stracciarono i contratti già stipulati coi nuovi contadini, Mainardo fu l’unico nobile a mantenere i contratti stipulati con i contadini, e fu così che si assicurò la loro fedeltà.

25 ottobre 2024

I cròmeri del Tesino, sempre a piedi e con la cassetta in spalla

La vendita porta a porta di stampe, immagini sacre e piccoli oggetti per la casa è stata per tre secoli il "secondo lavoro" stagionale dei contadini più poveri.
La casséla (cassetta) per sementi dell'ambulante Bortolo Zampiero, classe 1882, già venditore di stame e di mercerìe. Anche nel Tesino i piccoli contadini approfittavano della stasi agricola invernale per trasformarsi in cròmeri, ambulanti che praticavano il porta a porta lontano da casa e si muovevano sempre a piedi con la merce portata a spalla e lo stesso accadeva nella Val dei Mocheni.
Due casséle degli ambulanti tesini, sopra chiusa e sotto aperta.
Lasciavano l'altipiano affidando la cura del bestiame e della casa alle donne e, sempre a piedi e con la "cassela" in spalla, si spingevano ai quattro angoli dell'Europa asburgica. Alcuni hanno fatto fortuna, riuscendo ad aprire negozi all'estero, altri si sono spinti fino in Asia e Australia, trasformandosi in girovaghi espatriati ma nostalgici di casa.
👉Il cròmero stava via nei mesi freddi, dopo aver riempito la cassela (l'armadietto portatile a più scomparti da portare in spalla come uno zaino) rifornendosi dai merciai, commercianti e stampatori bassanesi, che concedevano un credito facile quanto insidioso. Anticipavano la merce dietro promessa di pagare al ritorno dopo averla venduta, ma chiedevano a garanzia il pignoramento del campo. Col tempo furono in molti i piccoli contadini a finire preda di questi prestiti tossici, che spesso si concludevano con la perdita del piccolo appezzamento agricolo, nuovi debiti, povertà e emigrazione.
👉A partire da Settecento il fenomeno crebbe via via di peso e finì col penetrare gli equilibri economici locali, giungendo a modificare la composizione sociale degli abitanti.
Non mancò chi fece fortuna con l'estero. Vi fu anche chi aprì negozio a Parigi, Mosca e Pietroburgo. I tesini figurano tra i fornitori degli Zar di Russia. Da segnalare i casi delle famiglie di stampatori Remondini, Daziaro, Buffa, Pellizzaro, Ognibeni, ben documentati nelle pubblicazioni e installazioni del locale museo dei cròmeri a Pieve Tesino.
La casséla arrivava a pesare fino a 45 chili e conteneva anche sementi, aghi e fili da rammendo, forbici e coltelli, inchiostri e pennini, merletti e pizzi, uncini da ricamo, tele e stoffe, medaglie, brevari, rosari e e santini, rasoi, occhiali e lenti, pipe e pietre focaie, saponette e profumi.