29 giugno 2025

La casera della malga alpina

La casàra o casèra sorge poco lontana dallo stallone degli animali. Più piccola e spesso a due piani (quello sopra destinato ad alloggio dei malgari). Con qualche variante regionale tipo: Zillertal tirolese, Lagorai trentini, Baldo veronese, etc).
Piano terra di una casera-tipo: il casello dove veniva lasciato riposare il latte appena munto per far affiorare la panna, il portico di passaggio con la zangola per produrre il burro, la casèra dove si produceva il formaggio e la ricotta, il magazzino areato per la stagionatura delle forme e la porcilaia (i maiali venivano alimentati con il liquido biancastro che rimaneva dopo le lavorazioni e con i resti dei pasti dei malgari (che dormivano al piano di sopra).
Anche la più piccola delle malghe aveva sempre il suo punto-fuoco con il paiolo ap-
peso ad un sostegno a forca per poterlo spostare anche quando era pieno.
Qui il malgaro alloggiava e sempre qui lavorava il latte. Oltre allo spazio dove i malgari dormivano e consumavano i pasti, la casèra ospitava il cuore produttivo della malga costituito dagli spazi dove si svolgevano le varie fasi di lavorazione del latte: la produzione del burro, dei formaggi e della ricotta, nonchè un locale areato destinato alla stagionatura delle forme di formaggio.
Vecchio paiolo a Malga Casapinello (Lagorai, 2022).
👉Il centro della casèra era costituito dal punto-fuoco dove, in un grande e capiente paiolo di rame sospeso ad una catena avveniva la produzione vera e propria del formaggio e della ricotta: il latte veniva riscaldato nel paiolo e successivamente vi veniva aggiunto il caglio, una sostanza che provoca la coagulazione del latte e la formazione della "cagliata" quei grumi che costituiscono il futuro formaggio. Seguiva la rottura della cagliata: una volta formata, la cagliata veniva "rotta" con un apposito attrezzo (lo spino) in frammenti o grani più o meno grandi a seconda del tipo di formaggio che si voleva ottenere.
👉Infine si procedeva alla estrazione del caglio ed alla sua pressatura: la cagliata viene estratta dalla caldaia-paiolo e messa in fascere, degli stampi di sottile assicelle di legno sagomato che venivano usate per dare al formaggio la sua forma rotonda. Dentro le fascere il formaggio fresco veniva pressata per favorire lo spurgo del siero residuo.
👉Dal siero rimasto nel paiolo del formaggio si ricavava la ricotta e il liquido biancastro che rimaneva veniva dato ai maiali.
👉Il burro invece era già stato estratto dalla panna prima, agitando e sbattendo nella zangola la ricca panna che affiorava dal latte che dopo munto lasciato a riposare in appositi recipienti piatti, bassi e larghi, che favorivano il naturale processo di affioramento della panna, la frazione più grassa del latte vaccino.

17 giugno 2025

Il vaso da notte, complemento necessario della stanza da letto

I ragazzi d'oggi stentano a farsene una ragione, ma  quando scappava durante la notte, la si faceva in un apposito "vaso da notte" che veniva svuotato solo il mattino dopo.
Il "letto tedesco" (cioè col piumino al posto del lenzuolo superiore) con sotto il vaso da notte e accanto il cassettone della biancheria: era la dotazione standard delle camere da letto dei masi di montagna, che erano fredde e non riscaldate.
Con la Rivoluzione Industraile si diffusero i vasi da notte in lamiera smaltata, più leg-
geri, facili da pulire e meno fragili di quelli di terracotta che li avevano preceduti.
In genere i masi erano dotati anche di un gabinetto, seppur piuttosto rustico, ma di solito si trovava all'esterno o comunque in posizione scomoda, spesso più vicina al letamaio e alla stalla che alle stanze da letto.
👉A parte la Stube, il maso di montagna non aveva altre stanze dotate di riscaldamento e tutti gli altri locali erano invece preda di correnti d'aria e spifferi.
👉Non solo le notti erano buie e non c'era la corrente elettrica né l'acqua corrente, ma gli inverni alpini erano lunghi e rigidi.

17 maggio 2025

La cassa del grano era la "cassaforte alimentare" del contadino

La cassapanca a scomparti per conservare le granaglie da un anno all'altro.
Era una rustica cassapanca conservata nel posto più asciutto e al sicuro dai topi. Era suddivisa in scomparti e spesso era dotata di serratura. Aveva anche un valore simbolico: rappresentava la sicurezza alimentare della famiglia e il frutto del duro lavoro nei campi. Qui vediamo la cassa per il grano del maso Hörl-Wetscherhof ricostruito e conservato nel museo all'aperto di Kramsach in Tirolo.
Tre cassapanche e un'armadio-dispensa posti nel corridoio interno di Maso Ruaner,
che si trovava in Valle Isarco ed è stato smontato e ricostruito nel museo all'aperto di
Dietenheim presso Bruneck/Brunico.


Era un contenitore robusto destinato a conservare il grano, la segale e altri cereali, proteggendoli da umidità, topi, parassiti e insetti così da garantirne la disponibilità durante tutto l'arco dell'anno.
👉Nel maso le cassapanche e gli armadi venivano conservati dentro la parte destinata all'abitazione scegliendo sempre la posizione più asciutta e ventilata.
Nei masi più ricchi anche questi mobili essenziali e funzionali venivano spesso impreziositi da decorazioni ad intaglio e anche dotati di serratura la cui chiave era custodita dalla padrona di casa.

9 aprile 2025

L'aratro dissolcatore, quello della tradizione più antica

L'aratro dissolcatore è un tipo di aratro primitivo, ormai in disuso. Non rovescia la terra, ma si limita a smuoverla, tracciando un solco che la divide in due parti.
È dotato di un puntale in ferro, che rappresenta un'evoluzione e un potenziamento della zappa e della vanga. La sua struttura semplice lo rende adatto a terreni meno compatti. Non è in grado di lavorare la terra in profondità.
Veniva mosso da due bovini aggiogati oppure da un cavallo. L'uomo lo guidava lun-
go la direzione di lavoro appoggiandosi sulle due impugnature.
Era utilizzato per preparare il terreno alla semina durante l'inverno, dopo la concimazione del terreno.
👉Si tratta del tipo di aratro più antico. L'aratro dissolcatore è considerato una forma primitiva di aratro, superata dall'evoluzione dell'aratro a versoio, che invece rovescia la zolla di terra.
Aratro dissolcatore con il puntale rinforzato con lamiera di ferro conservato presso il
Museo di San Michele all'Adige.
La sua evoluzione è rappresentata dall'aratro a versoio introdotto dalla Rivoluzione Industriale, che non si limitava ad incidere il terreno per dissodarlo, ma contemporaneamente lo rivoltava, esponendo gli strati sottostanti all'azione dell'aria.
La rivoluzione industriale, con la produzione di aratri in ferro più robusti ed efficienti, ha accelerato la diffusione dell'aratro a versoio anche nelle zone montane. L'introduzione dell'aratro a versoio nell'agricoltura di montagna risale alla fine dell'Ottocento.
In alto: un esemplare di aratro dissolcatore conservato presso un maso lungo il Riffianer Waalweg in Val Passiria (foto del 2022).


3 marzo 2025

I diversi tipi di chiodi da scarpa ("broche", in dialetto trentino)

Prima della WW2 le calzature invernali e gli scarponi da campagna venivano "chiodati": la suola di cuoio veniva corazzata nei punti giusti da graffe di ferro.
Le "broche a sella" erano solo uno dei tanti tipi di chiodi da scarpa utilizzati dai calzolai del tempo, abili artigiani che lavoravano di conserva con le fucine dei "chiodaioli" fabbri artigiani che si erano specializzati nella produzione di chiodi per tutti gli usi.

Diversi tipi di broche prodotte dai chiodaioli trentini.
Solo dopo la fine della seconda guerra mondiale nelle terre alte arrivarono le suole Vibram, che erano state già sperimentate nel 1937 da Vitale Bramani per gli alpinisti, e che aprirono una nuova era: quella delle suole in gomma anzichè in cuoio chiodato.
Prima della rivoluzione introdotta dalle suole di gomma la chiodatura delle suole era la norma, in pace e in guerra, per i contadini di montagna e i soldati.
👉Soprattutto nei paesi delle valli si continuava a fare un gran uso delle broche, i chiodi da scarpa, e i numerosi calzolai che allora riparavano e mantenevano in ordine le calzature si rifornivano dai chiodaioli, fabbri specializzati nella produzione di una vasta tipologia di chiodi da scarpa.
Oggi le suole chiodate sono completamente scomparse; in ambito alpinistico sono state sostituite dai ramponi d'acciaio e gli escursionisti si accontentano dei "ramponcini", sovrascarpe di gomma rinforzata dai chiodi e catenine. Chi ama il grip deciso su neve ghiacciata ma non è disposto a rinunciare al rassicurante involucro fisso dello scarpone ricorre ad adattamenti personali, tipo questo (i chiodi più adatti si trovano anche nel web).
Un pregevole scarpone artigianale in cuoio con la suola chiodata con le broche conservato al Museo di San Michele all'Adige.

20 febbraio 2025

Il carnevale di Tramin/Termeno (nella Bassa Atesina)

Le maschere protagoniste sono l'Egetmann e gli Schnappviecher. Risale alla seconda metà del 1500 e si tiene solo negli anni dispari.
Oltre ai due sposi, i veri protagonisti della festa sono gli Schnappviecher, detti anche Schnappvieh o Wudele. Sono le apparizioni più spettacolari, sorta di draghi alti come due uomini e con la mascella mobile, che sbattono selvaggiamente per far risuonare i denti. 


Due, maschere da Schnappviecher con la caratteristica mascella
mobile. 
 Fra le altre figure c'è quella dell’uomo selvatico ("Wilder
Mann"), con il corpo ricoperto di foglie d’edera, tenuto a bada a
fatica dalla sua figura antagonista, il cacciatore.
I mascheroni vengono azionati dai volonterosi che si celano al loro interno, gli Schanppviecher sono ricoperti di pelli e la loro testa è sormontata da corna di animali. Vengono inseguiti dai macellai che ad ogni sosta ne catturano uno e lo uccidono, chiudendo così il ciclo dell’inverno e aprendo le porte alla primavera.
👉La rappresentazione carnascialesca ruota attorno ad un matrimonio, quello fra l’Egetmannhansl, o Egetmann, in giacca nera, cilindro e guanti bianchi, e la sua sposa, spesso personificata da un uomo (come nel teatro del passato, quando solo agli uomini era consentito recitare). I due arrivano su un calesse dietro al quale camminano i consiglieri, gli “uomini del potere”, con ciascuno un oggetto simbolico: il registro dei matrimoni, la scala, l’ombrello e due candelieri (un bastone con una pannocchia di granoturco come candela). Il corteo si snoda per le vie di Termeno e si ferma ad ogni fontana. Qui viene appoggiata la scala su cui sale il consigliere con un ombrello, sotto al quale il nunzio legge il protocollo con la profferta di matrimonio, condita di pesante ironia e sfottò.

11 febbraio 2025

La "frontiera nascosta" (e il libro che ne ha svelato la natura)

Il confine tra le terre trentine e le terre sudtirolesi non è mai stato solo linguistico. Il caso di Tret e St. Felix/San Felice, tra l'alta Val di Non e la Ultental/Val d'Ultimo.
Questo libro riporta i risultati di un indagine sul campo condotta in alta Val di Non, al confine con la Val d'Ultimo altoatesina. Nelle cartografie attuali mostrano un St.Felix/San Felice modificato dalle nuove costruzioni aggiunte negli ultimi 50 anni. Ancora negli anni Settanta la fisionomia dispersa di St. Felix (tedesco) era molto diversa da quella ccentrata del vicinissimo Tret (italiano).

Gli autori tracciano la storia del Tirolo analizzando l'economia rurale, i suoi abitanti
e la loro cultura a partire dall'Alto Medioevo. L'opera di Cole e Wolf raccoglie studi
sui meccanismi dell'eredità, sull'organizzazione delle risorse del paese, sulle rela-
zioni sociali ed economiche di queste due comunità alpine.
Si tratta innanzitutto di diversità che riguardano la cultura materiale, le forme dell'insediamento umano e il rapporto col territorio. E che si estendono alla lingua e allo stile di vita: tradizioni, consuetudini, usi e costumi, diritto ereditario, rapporti di parentela e mentalità. Pur rimanendo entrambi all'interno della stessa fede religiosa, quella cattolico-romana.
In arancione il confine amministrativo attuale fra le due province autonome di Bol-
zano e di Trento nella cartografia IGM 1:25000.
👉Il villaggio tedesco di St. Felix/San Felice ha una struttura di d'insediamento disperso, mentre l'italiano Tret è organizzato in nucleo abitato. A San Felice ci sono i masi chiusi, a Tret no.
👉Nel 2010, 35 anni dopo la pubblicazione del libro, le differenze fra il paese di "diritto germanico" (St. Felix) e quello di "diritto latino" (Tret) erano aumentate nella demografia, nell'architettura e soprattutto nell'economia: "D'altra parte la disparità fra le due comunità è aumentata: St. Felix è abbastanza benestante, i suoi contadini ora hanno sviluppato una vocazione agrituristica ed artigianale, anche grazie ai finanziamenti della Provincia di Bolzano e ai fondi europei, che invece, per ragioni che gli autori non pare siano stati capaci di determinare, non vengono richiesti dalla Provincia di Trento. Così Tret si sta svuotando e chi è rimasto lavora a Trento, in altri comuni limitrofi, oppure nella zona artigianale a St. Felix." (dal quotidiano "Trentino", 10 novembre 2010)