5 ottobre 2025

Camminare con il legno ai piedi: gli zoccoli e le sgalmere

Queste calzature primitive con la suola di legno erano molto diffuse soprattutto in alcune zone e valli di montagna del nord Italia.
Spesso, per aumentarne la durata e la presa su terreni difficili, la suola di legno veniva rinforzata con chiodi di ferro forgiati a mano (le classiche broche da vecchio scarpone delle epoche pre-Vibram).
Sebbene nate come scarpe da lavoro, non mancarono però le versioni più raffinate.
Fino alla seconda guerra mondiale i contadini delle terre alte fecero largo uso di calzature primitive con la suola in legno. Si camminava con il legno ai piedi con semplici zoccoli tutti d'un pezzo ma soprattutto con le "sgalmere" dalla suola in legno e la tomaia in cuoio.
Vedi anche il sito Museo Etnografico “Tarcisio Trentin” di Telve di Sopra.
👉Le sgalmere non erano degli zoccoli, ma piuttosto scarponi da fatica. La caratteristica distintiva è che la loro suola, interamente in legno, era completata da una tomaia (la parte superiore della scarpa) di cuoio o di pelle. La suola di legno serviva per la sua resistenza meccanica e l'isolamento dal freddo e dal bagnato. La tomaia era di robusta fattura e veniva inchiodata saldamente alla suola in modo da garantire protezione e stabilità.
👉Si utilizzavano legni duri, come il faggio, che si ammorbidivano con l’acqua così da poter inserire i chiodi: se non si inumidiva i numerosi chiodi potevano spaccare il legno.
Le sgalmere sono rimaste in uso fino a metà del XX secolo, a volte anche oltre. Fino agli anni '60 del Novecento, per esempio, erano d'uso comune nella povera val di Cembra, dove d'estate i bambini erano ancora abituati a giocare a piedi scalzi. Nel giro di qualche l'industrializzazione del fondovalle  portò anche nelle valli disagiate un nuovo benessere frutto del boom economico e tutti cominciarono a calzare scarpe e scarponi.

8 settembre 2025

Il letto alla tedesca: pratico, caldo e senza lenzuola

E' un modo di dormire semplice e funzionale, pensato per difendersi dal freddo. Lo si incontra fra le popolazioni di montagna di cultura tedesca.
Il letto in uso nei masi ha le sponde laterali rialzate come in uso per le cuccette dei marinai, fatto che "sigilla" il dormiente proteggendolo dal freddo delle camere da letto, sempre prive di riscaldamento. Del resto nelle terre alte e in quelle del Nord d'inverno si combatteva col freddo.
Anche nei rifugi alpini ci si imbatte spesso in letti a castello con i piumini e le spon-
dine contenitive. Qui siamo al Rifugio Oltradige (catena della Mendola).
La sua caratteristica era (ed è) che faceva a meno sia delle lenzuola che delle coperte, sostituite da un soffice e caldo piumone che andava ad incastrarsi tra le sponde rialzate le e testiere del letto e bloccava così gli spifferi d'aria gelata. Uno smusso in una delle due sponde agevolava l'accesso. Il piumone era sempre infilato in una fodera di stoffa lavabile facilmente estraibile, sul tipo delle federe dei cuscini.
Nei masi più grandi e ricchi i letti venivano spesso decorati ad intaglio.
Il letto alla tedesca è molto pratico perché non va rifatto e permette di arieggiare facilmente i piumini che sostituiscono il lenzuolo superiore, le coperte e il copriletto.
👉La versione matrimoniale del "letto alla tedesca" è caratterizzata dall'utilizzo di due piumini singoli separati, invece di un unico piumone grande. Questo significa che ogni persona aveva il suo piumino e il suo copripiumino.
👉I piumini si facevano con le piume più fini delle galline, le quali non mancavano mai nei masi e nelle abitazioni contadine per via delle uova. Senza contare che molti contadini allevavano anche delle oche; il piumino d'oca è tutt'oggi considerato il miglior materiale per la costruzione dei sacchi a pelo per l'alpinismo d'alta quota.

31 luglio 2025

Lo stampo per il burro.

E' uno stampo in legno usato per dare una forma regolare al burro e ottenere nel contempo panetti dal peso standard.
Due stampi da burro esposti al museo di San Michele. Nei riquadri l'uso dello stampo nella Malga Dosso di Sotto. Una volta solidificato, il burro assume la forma dello stampo e può essere facilmente estratto rovesciando lo stampo.

Una raccolta di immagini che danno l'idea della grande varietà di forme e motivi decora-
tivi che caratterizzavano gli stampi da burro, che in malga  fungevano in pratica da garan-
zia sul peso e la provenienza del burro.  In basso il colore giallo del burro di Malga Casa-
pinello
e lo stampo d'epoca in uso a Malga Venegia.
Gli stampi presentano sempre incisioni o motivi decorativi che vengono impressi sul panetto di burro permettendo di identificarne la provenienza, come un marchio di fabbrica.
👉La pasta di burro crudo viene estratta dalla zangola, posta sopra un tavolo di legno, lavata con acqua corrente, impastata e spremuta con le mani per far uscire tutto il latticello, passaggio questo importantissimo per la sua conservazione contro l’irrancidimento. Suddivisa poi in approssimativi pannetti, la pasta viene forgiata nello stampo che ne determina il peso e le conferisce, riportando in bassorilievo gli ornati incisi all’interno, il "marchio di fabbrica".
👉Costruire uno stampo da burro non è semplice; le incisioni sui lati e sul fondo il cui lavoro d’intaglio richiede abilità artigiane e scalpelli specifici. Si usava legno a venatura compatta ma che si lascia incidere bene come il noce, il faggio, l’acero, il tiglio, il ciliegio. Ma non il castagno, per via del suo alto contenuto in tannino. Molto apprezzati il cirmolo e l'abete, che cedono al burro il profumo delle loro essenze.

29 giugno 2025

La casera della malga alpina

La casàra o casèra sorge poco lontana dallo stallone degli animali. Più piccola e spesso a due piani (quello sopra destinato ad alloggio dei malgari). Con qualche variante regionale tipo: Zillertal tirolese, Lagorai trentini, Baldo veronese, etc).
Piano terra di una casera-tipo: il casello dove veniva lasciato riposare il latte appena munto per far affiorare la panna, il portico di passaggio con la zangola per produrre il burro, la casèra dove si produceva il formaggio e la ricotta, il magazzino areato per la stagionatura delle forme e la porcilaia (i maiali venivano alimentati con il liquido biancastro che rimaneva dopo le lavorazioni e con i resti dei pasti dei malgari (che dormivano al piano di sopra).
Anche la più piccola delle malghe aveva sempre il suo punto-fuoco con il paiolo ap-
peso ad un sostegno a forca per poterlo spostare anche quando era pieno.
Qui il malgaro alloggiava e sempre qui lavorava il latte. Oltre allo spazio dove i malgari dormivano e consumavano i pasti, la casèra ospitava il cuore produttivo della malga costituito dagli spazi dove si svolgevano le varie fasi di lavorazione del latte: la produzione del burro, dei formaggi e della ricotta, nonchè un locale areato destinato alla stagionatura delle forme di formaggio.
Vecchio paiolo a Malga Casapinello (Lagorai, 2022).
👉Il centro della casèra era costituito dal punto-fuoco dove, in un grande e capiente paiolo di rame sospeso ad una catena avveniva la produzione vera e propria del formaggio e della ricotta: il latte veniva riscaldato nel paiolo e successivamente vi veniva aggiunto il caglio, una sostanza che provoca la coagulazione del latte e la formazione della "cagliata" quei grumi che costituiscono il futuro formaggio. Seguiva la rottura della cagliata: una volta formata, la cagliata veniva "rotta" con un apposito attrezzo (lo spino) in frammenti o grani più o meno grandi a seconda del tipo di formaggio che si voleva ottenere.
👉Infine si procedeva alla estrazione del caglio ed alla sua pressatura: la cagliata viene estratta dalla caldaia-paiolo e messa in fascere, degli stampi di sottile assicelle di legno sagomato che venivano usate per dare al formaggio la sua forma rotonda. Dentro le fascere il formaggio fresco veniva pressata per favorire lo spurgo del siero residuo.
👉Dal siero rimasto nel paiolo del formaggio si ricavava la ricotta e il liquido biancastro che rimaneva veniva dato ai maiali.
👉Il burro invece era già stato estratto dalla panna prima, agitando e sbattendo nella zangola la ricca panna che affiorava dal latte che dopo munto lasciato a riposare in appositi recipienti piatti, bassi e larghi, che favorivano il naturale processo di affioramento della panna, la frazione più grassa del latte vaccino.

17 giugno 2025

Il vaso da notte, complemento necessario della stanza da letto

I ragazzi d'oggi stentano a farsene una ragione, ma  quando scappava durante la notte, la si faceva in un apposito "vaso da notte" che veniva svuotato solo il mattino dopo.
Il "letto tedesco" (cioè col piumino al posto del lenzuolo superiore) con sotto il vaso da notte e accanto il cassettone della biancheria: era la dotazione standard delle camere da letto dei masi di montagna, che erano fredde e non riscaldate.
Con la Rivoluzione Industraile si diffusero i vasi da notte in lamiera smaltata, più leg-
geri, facili da pulire e meno fragili di quelli di terracotta che li avevano preceduti.
In genere i masi erano dotati anche di un gabinetto, seppur piuttosto rustico, ma di solito si trovava all'esterno o comunque in posizione scomoda, spesso più vicina al letamaio e alla stalla che alle stanze da letto.
👉A parte la Stube, il maso di montagna non aveva altre stanze dotate di riscaldamento e tutti gli altri locali erano invece preda di correnti d'aria e spifferi.
👉Non solo le notti erano buie e non c'era la corrente elettrica né l'acqua corrente, ma gli inverni alpini erano lunghi e rigidi.

17 maggio 2025

La cassa del grano era la "cassaforte alimentare" del contadino

La cassapanca a scomparti per conservare le granaglie da un anno all'altro.
Era una rustica cassapanca conservata nel posto più asciutto e al sicuro dai topi. Era suddivisa in scomparti e spesso era dotata di serratura. Aveva anche un valore simbolico: rappresentava la sicurezza alimentare della famiglia e il frutto del duro lavoro nei campi. Qui vediamo la cassa per il grano del maso Hörl-Wetscherhof ricostruito e conservato nel museo all'aperto di Kramsach in Tirolo.
Tre cassapanche e un'armadio-dispensa posti nel corridoio interno di Maso Ruaner,
che si trovava in Valle Isarco ed è stato smontato e ricostruito nel museo all'aperto di
Dietenheim presso Bruneck/Brunico.


Era un contenitore robusto destinato a conservare il grano, la segale e altri cereali, proteggendoli da umidità, topi, parassiti e insetti così da garantirne la disponibilità durante tutto l'arco dell'anno.
👉Nel maso le cassapanche e gli armadi venivano conservati dentro la parte destinata all'abitazione scegliendo sempre la posizione più asciutta e ventilata.
Nei masi più ricchi anche questi mobili essenziali e funzionali venivano spesso impreziositi da decorazioni ad intaglio e anche dotati di serratura la cui chiave era custodita dalla padrona di casa.

9 aprile 2025

L'aratro dissolcatore, quello della tradizione più antica

L'aratro dissolcatore è un tipo di aratro primitivo, ormai in disuso. Non rovescia la terra, ma si limita a smuoverla, tracciando un solco che la divide in due parti.
È dotato di un puntale in ferro, che rappresenta un'evoluzione e un potenziamento della zappa e della vanga. La sua struttura semplice lo rende adatto a terreni meno compatti. Non è in grado di lavorare la terra in profondità.
Veniva mosso da due bovini aggiogati oppure da un cavallo. L'uomo lo guidava lun-
go la direzione di lavoro appoggiandosi sulle due impugnature.
Era utilizzato per preparare il terreno alla semina durante l'inverno, dopo la concimazione del terreno.
👉Si tratta del tipo di aratro più antico. L'aratro dissolcatore è considerato una forma primitiva di aratro, superata dall'evoluzione dell'aratro a versoio, che invece rovescia la zolla di terra.
Aratro dissolcatore con il puntale rinforzato con lamiera di ferro conservato presso il
Museo di San Michele all'Adige.
La sua evoluzione è rappresentata dall'aratro a versoio introdotto dalla Rivoluzione Industriale, che non si limitava ad incidere il terreno per dissodarlo, ma contemporaneamente lo rivoltava, esponendo gli strati sottostanti all'azione dell'aria.
La rivoluzione industriale, con la produzione di aratri in ferro più robusti ed efficienti, ha accelerato la diffusione dell'aratro a versoio anche nelle zone montane. L'introduzione dell'aratro a versoio nell'agricoltura di montagna risale alla fine dell'Ottocento.
In alto: un esemplare di aratro dissolcatore conservato presso un maso lungo il Riffianer Waalweg in Val Passiria (foto del 2022).